Sono di nuovo io con gli amici stranieri, anzi, italiani che abitano a San Francisco da piu’ di vent’anni, con i figli ormai solo americani, venuti all’Elba per farmi una graditissima visita. Sollecitati da un depliant invitante, si decide di fare una gita a Pianosa.
Partenza fantastica da Marina di Campo con l’AcquaVision, assistenza a terra di Antonella, coordinatrice cortesissima e super efficiente. Colazione a un bar sul porto, cornetti, cappuccino, insomma, una cosa molto italiana e molto gradita.
Arriviamo a Pianosa pieni di interesse e di aspettative. Il mare fa la sua parte, è blu intenso, il sole anche, forte e con cielo terso. Cala Giovanna si scorge in lontananza, tutti hanno portato le maschere. Prenotiamo due visite guidate del paese, una per gli adulti col gruppo, un’altra privata in inglese per i bambini.
Allo sbarco però la sicurezza baldanzosa del clima e del mare lascia spazio allo sbigottimento di trovarsi davanti un’isola in condizioni spettrali. Non mi dilungo, la conosciamo tutti. “Tutti” intendo noi, gli elbani e gli abitanti dell’arcipelago. Ma non i turisti. Gliela devi spiegare bene la situazione. Perchè è abbandonata? Perché tutto è in rovina?
La targa nuova fiammante del vialetto dal molo al paese intitolata a Paolo Borsellino sembra l’unico contatto con una qualche autorità o legame con istituzioni che dovrebbero occuparsene e che invece sono latitanti. Me ne vergogno, ma non riesco a non pensare che intitolare quella stradina, per contrasto stridente tutta piena di capperi in fiore, e tutte le altre, a persone cosi legate alla lotta alla mafia, se pure veri eroi del nostro tempo, sia uno schiaffo a Pianosa, ex colonia agricola penale all’avanguardia, sventrata e snaturata una prima volta dall’articolo 41bis, e una seconda volta dalla chiusura del carcere, senza certo futuro.
Chi ci accoglie con calore è il gruppo dei volontari, gli Amici di Pianosa, al piccolo museo. Volontari che si aggrappano a una speranza, con una fierezza antica di un passato amato. Il presente non conta molto, contano le foto, i racconti, quello che c’era e ora è finito. C’e’ bisogno dell’aiuto delle guide ambientali del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano per distrarre il visitatore, per fargli scoprire i tanti pregi di un’isola e di un paese intero che, anche se in rovina, aggrediti dalla morsa del tempo e dell’incuria, conservano dei veri e propri gioielli.
E’ l’ora della partenza, ci mettiamo in fila al battello. Si torna, con un’esperienza in piu’ da raccontare. Io non ho il coraggio di chiedere loro se la bellezza di Cala Giovanna sia stata l’elemento più incisivo di tutta la giornata, sconcertati davanti a tanto abbandono, incerti su dove andare e cosa guardare.
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