Emergono i recipienti usati nel primo secolo avanti Cristo: in alcuni di essi trovati resti vegetali, forse vinaccioli che saranno analizzati per capire e ricostruire il dna dell’antica via elbana. Cambi: “Serve un’altra campagna”.
Gli scavi di San Giovanni stanno riservando grandi sorprese. Alcune decine di anfore sono venute alla luce accanto ai dolia che il professor Franco Cambi e la sua equipe avevano scoperto durante la prima campagna di scavi un anno fa. “Abbiamo proseguito la campagna dello scorso anno – spiega Cambi – sempre nella stessa area i cui avevamo trovato l’impianto di una fattoria romana del II°-I° a.C. dove si produceva vino, ovviamente prodotto da vigneti elbani dell’ epoca ma poi fermentato in grandi contenitori interrati che i romani chiamavano ‘dolia de fossa’, importati presumibilmente da Roma. È in questi grossi contenitori che il vino fermentava, quest’anno però con questa seconda campagna di scavo siamo andati ancora avanti e abbiamo scoperto la parte della cantina, la parte della fattoria in cui il vino veniva imbottigliato dentro le anfore dopo la fine della fermentazione. Vino che non invecchiava molto perché gli antichi non conoscevano molti sistemi per far invecchiare il vino che quindi doveva essere consumato nell’arco dell’anno successivo a quello della vendemmia”.
“Questo luogo è poi particolarmente interessante – continua Cambi – perché una volta costruita la fattoria con la cantina, un volta usata per la produzione del vino, a un certo punto questo edificio si incendia, forse per cause anche naturali e crolla tutto. E quindi noi abbiamo trovato una situazione sigillata che dal punto di vista archeologico è interessante perché vuol dire che è crollato tutto su quello che c’era all’interno di questi ambienti e dopo nessuno è più venuto. Il fatto interessante però è che probabilmente il proprietario di questo impianto, di questa azienda vitivinicola è lo stesso proprietario della villa delle Grotte che si trova appena sopra. Abbiamo studiato i modi per cui si impiantavano queste aziende agricole, le ville romane e abbiamo visto che, quando un personaggio di alti rango tra il II e il I secolo a.C. decideva di costruire una villa che fosse anche un’azienda agricola, la prima cosa che impiantava era il vigneto che si collocava tra la tarda adolescenza e la maturità perché nella loro formazione di aristocratici l’agronomia era un aspetto fondamentale. I vari Cicerone, Cesare, Pompeo erano sicuramente uomini di stato e condottieri, ma erano anche profondi conoscitori della realtà agraria del loro tempo, potremmo dire anzi le punte avanzate delle tecniche agronomiche. Il personaggio forse faceva parte della famiglia dei Valerii, una casata molto potente ancora nella tarda età repubblicana, uno di questi poi faceva parte dei uno dei circoli intellettuali più raffinati della Roma dell’imperatore Augusto, si chiamava Valerio Messalla. Questo personaggio ad un certo punto adotta un rampollo di un’altra famiglia importante, gli Aurelii. Questa famiglia però era ancora aristocratica ma era decaduta economicamente, non avevano più soldi. Lo adotta e probabilmente questo personaggio adottato che prende il nome di Aurelio Cotta Massimo Messallino, Valerio Messallino, diventa probabilmente il proprietario della Villa delle Grotte. In questo caso abbiamo qui a San Giovanni, nella proprietà Gasparri l’aspetto rustico della vita delle Grotte, quello in cui si produceva il vino e forse se ne esportava un po’. Qui davanti probabilmente c’era anche il porto della villa romana, che andrebbe un po’ meglio ricercato e documentato”.
Continua la ricostruzione di Cambi: “Prima però in questo posto c’era qualcos’altro: una grande manifattura, un grande impianto per la riduzione del minerale di ferro. Il ferro viene estratto e prodotto all’Elba per quasi tutta l’età etrusca, per la prima parte dell’età romana, poi però ad un certo punto all’Elba ma anche a Populonia questa attività viene abbandonata probabilmente anche a causa delle difficoltà di reperimento del combustibile vegetale. I romani non avevano il carbon fossile che verrà sfruttato solamente a partire da fine ‘700 inizi ‘800 della nostra era. Io romani avevano soltanto carbone vegetale e per ottenere quantitativi adeguati di carbone per poter ridurre il minerale di ferro occorreva tagliare tagliare … in pochi secoli sono scomparsi boschi interi, sia all’Elba che sul vicino continente dove anche qui la produzione del ferro rallenta sensibilmente e praticamente scompare in questo periodo, nella tarda età repubblicana anche perché probabilmente i romani scoprono altre aree, altre regioni ricche di ferro, come l’Austria o la Spagna o altre zone e l’Itala assume un aspetto molto più agrario e vitivinicolo che non siderurgico. Noi vogliamo andare avanti anche perché questa iniziativa è sostenuta oltre che dalla famiglia Gasparri che ci ospita tutti gli anni nella sua proprietà, anche da un punto di vista proprio logistico nei suoi appartamenti ma anche da altre realtà imprenditoriali come ad esempio Assoshipping, o da associazioni importanti come Italia Nostra e l’accademia della cucina. Ci siamo fatti molto altri amici come il vitivinicoltore Antonio Arrighi che ogni tanto viene qui e essendo una sorta di archeologo sperimentale sta provando a fare il vino nel modo in cui lo facevano i romani. Naturalmente il vino fatto dai romani per noi sarebbe imbevibile. E’ cambiato tutto dal punto di vista del gusto sia nell’alimentazione sia dal punto di vista del vino. Comunque siamo circondati da molto interesse, da molta curiosità e anche dal desiderio di apprendere come erano fatti questi luoghi molto tempo fa”.
“Il numero delle anfore è prematuro dirlo – prosegue il professore – ora siamo nell’ordine di alcune decine di unità ma il fatto dell’improvvisa distruzione le ha rotte però le ha anche sigillate e quindi si sono conservate piuttosto bene. In alcune di esse abbiamo trovato dei resti vegetali dei semini, forse dei vinaccioli e questi verranno analizzati per capire e ricostruire il dna dell’uva elbana della tarda età repubblicana per capire che tipo di vitigno veniva coltivato. Sicuramente sono necessarie altre campagne anche perché noi abbiamo fatto delle indagini preliminari su questo sito archeologico, abbiamo visto che ci sono dei muri che in questo momento sono sepolti e che sono presenti soltanto su questa mappa magnetica che abbiamo realizzato con Laura Cerri e vorremmo arrivare a capire tutta una serie di cose, prima di tutto il rapporto tra questo luogo e la Villa delle Grotte, proprio come si andava dalla villa alla fattoria e viceversa e poi capire per quanto si estende ancora questo insediamento romano ed infine ancora capire che cosa c’è sotto, cioè la fase in cui qui si lavorava il ferro c’è ancora molto lavoro da fare non solo qui in questo punto ma anche da altre parti. Vorrei ringraziare la dottoressa Lorella Alderighi della sovrintendenza de beni archeologici della toscana che ha creduto e sostenuto questa impresa di ricerca”.
Tratto da TENews