Torniamo sugli scavi di San Giovanni, su una bella storia di cui abbiamo già parlato, ci torniamo passeggiando in un pomeriggio di ottobre strepitosamente assolato, e li troviamo affollati di ragazzi che lavorano.
Due gruppetti sono impegnati nei rilievi topografici ed armeggiano su strumenti tecnologici, gli altri curvi nelle trincee, agiscono usando attrezzi tanto rudimentali che potevano essere in possesso anche dell’umanità che ha costruito il complesso archeologico che stanno riportando alla luce, lavorano asportando con cura porzioni minime di terra; sembra impossibile che questo lavoro da formiche abbia già fatto emergere quattro enormi “dolia” (il quinto sta per essere liberato dalla camicia del tempo), i recipienti di terracotta dove gli elbani di due millenni fa ponevano il mosto a fermentare, e le anfore vinarie sparse a terra scomposte dall’incendio che fece crollare questa “cantina”: le pagine di questa storia si leggono così strato dopo strato.
Franco Cambi ci raggiunge poco dopo sugli scavi accompagnato da colleghi che stanno compiendo un analogo lavoro sulla vicina costa a Vignale.
Il docente elbano, anima di questo cantiere, ci fa capire l’importanza dei due interventi, ci rispiega con pazienza e dovizia di particolari tratti di una storia, sulla quale , pensiamo, torneremo magari raccontando anche il suo versante costiero.
Oggi semplifichiamo brutalmente, perché c’è una notizia ed è di grandissima rilevanza: l’area già scavata, saggi effettuati a decine di metri di distanza dal corpo della cantina, ove emergono altre strutture murali, le prospezioni geomagnetiche fanno capire che lo scavo iniziato sul versante archeo-siderurgico con l’intento di trovare fabbrichili, rudimentali forni per la fusione del ferro, ha condotto ad una scoperta sul versante archeo-agrario, un complesso di grandi dimensioni steso su centinaia e centinaia di metri quadri, un insediamento “lavorativo” azzardiamo “proletario”, che si interfacciava con l’aristocratica villa della soprastante collina delle Grotte.
Qui si produceva quello che più a monte si consumava, in un dolium tra quelli che ci stanno davanti nacque il vino che bevve l’esiliato e lacrimante poeta Ovidio passato di qui per salutare l’amico Massimo Cotta.
In qualsiasi paese appena civile del globo si fossero ritrovate vestigia del quotidiano antico di una tale importanza, si sarebbe sviluppata una gara tra enti e fondazioni per sostenere l’impresa, far continuare gli scavi e renderli fruibili, ma siamo in Italia ed all’Elba che è purtroppo per gli aspetti di deteriore insensibilità culturale “particolarmente” Italia.
Ed il molto che si è fatto (che rappresenta comunque una minima parte di quel che si potrebbe fare) lo si deve al lavoro volontario e testardo delle “formiche”, alla grande generosità della famiglia Gasparri, proprietaria dell’area che ospita il complesso che ha favorito in ogni modo l’impresa.
E mentre Franco continua a spiegare, sugli scavi arrivano tre signore, una è proprio Raffaella Gasparri una dei proprietari che hanno regalato al resto dell’umanità questa di storia, ci distraiamo per un attimo, affascinati dall’entusiasmo che pone nel mostrare alle sue amiche gli eccezionali frutti di pietra e terracotta che hanno prodotto i suoi campi.
Abituati a parlare quotidianamente delle imprese di ben altri personaggi, di piccolo ed anche infimo cabotaggio, è perfino liberatorio ragionare di e con due esemplari di elbani esemplari, di cui essere fieri.
Sul da fare: dato per scontato che i soggetti interessati (Soprintendenza, Comune, Fondazione Cortesi) debbono risolvere quanto prima la vicenda della Villa Romana assurdamente chiusa, è ancor più certo è che l’area di San Giovanni sia di enorme rilevanza culturale archeologica e naturalistica e che DEBBA essere posta quanto prima in stretto regime di vincolo e tutela, realizzando l’estensione dell’area protetta da Schiopparello a Punta della Rena, così come Italia nostra e Legambiente hanno chiesto alle forze politiche tutte,
E gli scavi della “cantina romana” e zone limitrofe, dopo la chiusura (il 18 Ottobre) dell’intervento in corso, devono trovare sostegno economico ed essere completati e costituire un’altra ragione in più per sbarcare all’isola.
Tratto da Elbareport.
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