Torna la rubrica settimanale di Italia Nostra, a cura di Cecilia Pacini in onda ogni giovedì su TeleElba e poi in replica domenica.
Torniamo un’altra volta al porto e ci soffermiamo sulle molteplici implicazioni di una zona storica, archeologica, industriale, militare, geologica, che è invece da molti anni trascurata e coperta da auto, enormi cartelloni pubblicitari e bidoni come se fosse da nascondere e di cui vergognarsi.
Prosegue la serie settimanale di interviste di TeleElba a Italia Nostra Sezione Elba e Giglio, su temi legati alla nostra attualità e alla nostra realtà, tutti collegati tra loro da un’unica idea ispiratrice, cioè la cura del verde pubblico e del nostro patrimonio.
“Questa volta – ci racconta la curatrice del programma Cecilia Pacini – ritorniamo a visitare il porto commerciale, che tanta parte ha nella vita dell’Elba e che conserva, insieme ad una sua funzione pratica e commerciale, delle caratteristiche morfologiche precise, e, ancora numerose, se pur mal preservate e in alcuni tratti quasi completamente scomparse, tracce della nostra storia passata. Il nostro porto elbano, che rende il capoluogo il punto nevralgico di tutta l’isola, dovrebbe avere un’attenzione e una centralità speciali, mentre attualmente l’aspetto di una navigazione di grande transito ha il sopravvento su tutto il resto”.
“La prima puntata – ricorda ancora la rappresentante di Italia Nostra – pur prospettando costruttivamente soluzioni e suggerimenti, aveva proposto una visione del porto sottolineando il grigiore dei luoghi e la vastità delle zone asfaltate grazie anche ad inquadrature della telecamera puntate su scorci polemici e sostando a lungo su, per esempio, alcuni dei numerosissimi bidoni in cemento del lungomare. Come abbiamo già sottolineato, serve una regia verde per far diventare il porto il primo parco cittadino, piacevole e in continuità col resto della città. Scopriremo allora nella puntata odierna alcune soluzioni già pronte, che non hanno bisogno di altro che pulizia e cura. Non si tratta qui di piantare alberi, ma di togliere cartelli, di fare spazio, di aprire alla vista e al cuore luoghi che invece sono coperti come delle vergogne cittadine da enormi spazi pubblicitari. Vorrei far notare che ci soffermeremo solo alcuni punti, mentre il discorso sulle potenzialita’ storiche, archeologiche, architettoniche, geologiche di quello che esiste tutt’ora al porto meriterebbe un’attenzione diversa e piu’ completa”.
“Ricorderemo intanto la collinetta al porto, o quello che ne rimane, preziosa anche da un punto di vista geologico, che la accomuna alle rocce delle Ghiaie e di Capo Bianco: una volta qui si ergeva il Forte Saint Cloud, costruito dai francesi nel 1803, insieme al Lazzeretto, per assicurare il controllo sanitario di navi sospette di malattie contagiose, e impedire così che entrassero nel porto mediceo e forzassero la catena posta al molo del Gallo. Il forte fu abbattuto in parte nel 1900: la prima pietra della centrale elettrica è del 14 dicembre 1900. Un’altra parte di questa collina, dove attualmente c’è lo spazio degradato dietro al Residence che adesso serve come parcheggio pubblico, fu abbattuta dopo la guerra per ricavare il caolino per l’industria ceramica, mentre nei primi anni ‘70 fu distrutta un’altra parte della parete per aprire un passaggio atto a favorire la viabilità.
Sempre al porto, non lontano, intorno al palazzo dei Portuali c’era il Magazzino del Sale del 1765 che raccoglieva milioni di tonnellate di sale dirette in tutta l’Europa Orientale via Dubrovnic”.
“Ultimo accenno – conclude Cecilia Pacini – segnalatoci dall’Associazione Elba Fortificata, su questa collina esiste tutt’ora il rifugio anti-aereo della centrale elettrica: due gallerie parallele e lunghe in cemento armato, dotate anche di servizi, arrivano all’altezza della rampa d’accesso [dove c’era la Confesercenti]. Da lì si intravede una delle due porte che dava direttamente sulla Centrale Elettrica. Elba Fortificata ci spiega che sono identiche alle porte stagne dei sommergibili e navi in generale. Bisogna naturalmente essere accompagnati per visitare questi luoghi, a causa delle erbacce e dell’abbandono nella zona. Questi sono quindi degli accenni, dei suggerimenti, su quanto potrebbe essere valorizzato, con risorse minime. In attesa dei futuri piani di sviluppo, ristrutturazione, o “bonifica”, mentre in questo momento costante rimane il degrado e la mancanza di attenzione, che cosa serve se non un po’ di buon occhio per ridare spazio e credibilità ad alcune tra le cose segnalate, e magari scoprirne e valorizzarne altre?”