Bene, un altro argomento aggregante, come l’ospedale, come il tribunale, che stimola e fa reagire, che punge sul vivo la gente e la fa stupire. Male, perché si tratta di un tema brutale: questa volta sono i graffiti di Capobianco che indignano. Tutti sono, giustamente, indignati, pronti a scagliare la prima pietra. Ma quanti in effetti sono anche addolorati?
Gli adulti sono bravi ad accusare. Una domanda allora è d’obbligo: perché ci si stupisce? Giornalmente i nostri media mostrano foto ad effetto, di degrado cittadino, quasi tutti hanno persino creato delle rubriche o bacheche dedicate a un’Elba che, se da una parte eccelle, dall’altra non ce la fa a tenere il passo con la propria evoluzione, non ce la fa ad emulare modelli avanzati di turismo e sviluppo perché il prezzo da pagare per mutamenti così capillari come quelli che stiamo vivendo è ancora un concetto vago, non siamo ancora pronti. E’ normale in queste situazioni che una causa provochi un effetto, uno stato di disagio provochi altro disagio: un polverone di cartaccia e sacchetti ovunque, soprattutto quando soffia lo scirocco (abbastanza spesso dalle nostre parti), provoca una cortina di oggetti volanti ben identificati; una zona industriale affacciata sul mare o all’ingresso di alcuni paesi rappresenta una dicotomia stridente con quanto promesso da depliant e guide turistiche; strade provinciali e piazzole, che ospitano rallye storici e campionati ciclistici o motociclistici internazionali, sono tappezzate di rifiuti; nuovi cartelli turistici cittadini, realizzati con lodevoli finanziamenti pubblici, sono persino piantati con grezzo cemento nelle scalinate medicee del centro storico (e non hanno date); capita che macchine attraversino le scalinate medicee; i parcheggi e piazzole dei centri commerciali, alla Loppa e a Carpani, sono orribili; il piazzale d’ingresso della zona archeologica delle Grotte è un parcheggio per grossi camion e deposito di spazzatura; il piazzale/parcheggio del campo sportivo per i ragazzi di San Giovanni è un deposito/parcheggio di camion e grossi mezzi; il verde urbano ed extra urbano è banalizzato e negletto, alberi sono equiparati qualche volta a pali per appendere cartelloni pubblicitari; il porto di Piombino è senza ombra e panchine; il porto di Portoferraio privilegia il modello piombinese. Non continuo, vengo spesso accusata di disfattismo, mando solo qualcuna delle tante foto che ogni tanto raccolgo.
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Forse è vero che vedo sempre le cose da questo lato. È anche facile accusare, facile recriminare, da una parte o dall’altra. Molto più difficile è pensare a quale differenza c’è tra trattare così male le scogliere bianche delle coste portoferraiesi e il resto dell’isola. Quello che resta è l’evidenza, per noi, per i nostri ragazzi che crescono in questo ambiente, per noi, della mia età o più vecchi, che si sono scordati che sulla riva delle spiagge ci si andava a cercare gamberi o conchiglie, e non, come ora, a scansare tappi di bottiglie e pezzi di plastica. A queste prime considerazioni generali me ne viene in mente un’altra, spontanea: che differenza c’è tra un versante e l’altro di una nostra costa? tra la parte “nobile”, bianca e cristallina degli Argonauti, e la parte “povera”, fangosa e scura delle ormai quasi dimenticate Saline? ne proteggiamo una e lasciamo l’altra andare al suo destino inquinato? Lancio un invito, una provocazione, ai ragazzi, così facili da accusare: ma davvero vi sentite abituati a questa situazione? è giusto indignarsi solo contro questi “J & M” ? E gli adulti? Ha ragione Franco Cambi, quando la definisce una storia triste, “le immagini raccontano una storia triste, triste come la storia delle buchette usate come portacenere nelle analoghe apliti della Padulella”, o, potrei aggiungere, buttate nelle spiagge elbane, ovunque. Oggi, purtroppo, una maggioranza crescente di gente non se ne accorge più, non vede l’evidente scandalo. Per questo nessuno, piano piano, fa più niente. Per favore, ditemi che sbaglio.
Cecilia Pacini – Italia Nostra – Sezione per l’Isola d’Elba e l’Isola del Giglio
Tratto da Elbareport